di Marta Cutugno
Palermo. Al Teatro Massimo, “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti incontra ed omaggia l’arte di Botero. Per il capolavoro comico del maestro bergamasco, la cui prima recita è andata in scena sabato 16 giugno, Victor García Sierra lascia che lo sguardo dello spettatore affondi piacevolmente tra le morbide linee ed i colori dell’artista colombiano, nell’allestimento curato da Enrico Fontana de Rangoni per Nausica Opera International, che trova ispirazione nella serie di opere del ciclo “El circo”.
Per il melodramma giocoso in due atti su libretto di Felice Romani, colui che al tempo era considerato il migliore librettista d’opera della penisola, le scene curate da Sierra sono eccellenti: le proiezioni che riflettono particolari dei dipinti sul fondo e gli abbinamenti con i bei costumi realizzati da Marco Guyon, supportano la trasposizione dal quadro al palcoscenico e sono un vero e proprio colpo d’occhio. Il gioco di luci di Bruno Ciulli si pone a rinforzo delle scelte scenografiche e contribuisce in modo significativo alla resa finale. Nel complesso l’impianto è molto gradevole e chiaramente gradito al pubblico.
La regia, curata dallo stesso Sierra, è minuziosa e attenta ai grandi spostamenti come alle gestualità più impercettibili. In tutta evidenza, Sierra che è regista ma anche cantante dalla carriera trentennale, possiede e mette al servizio dei protagonisti una visione interna e consapevole del fare opera e sa ben coniugare le diverse personalità alle esigenze di scena. Tuttavia, spingere oltre sul movimento coreografico è sembrato, talvolta, una scelta di troppo, forse un po’ scontata e di poco interesse rispetto alle ottime e ricche idee già messe in atto.
Sin dalle prime battute, con la partecipazione di Circ’opificio, la presenza di due trampolieri a sipario chiuso e di giocolieri in giro per la platea preannuncia la leggerezza dei toni ed introduce all’ambientazione circense boteriana.
L’arrivo del circo, in luogo del tradizionale arrivo dei soldati, stravolge la routine del villaggio e non solo: Belcore diventa domatore di leoni, Nemorino veste i panni di un clown impacciato, Adina non legge un libro ma le carte.
Caratteristica la presenza di una figura distinta, lo stesso BOTERO che, tra un atto e l’altro, si aggirerà silenziosamente in osservazione di quella realtà di paese, prendendone spunto e lasciando che l’ispirazione diventi prodotto d’arte.
Aperto il sipario, l’impianto scenico offre un tendone da circo a strisce gialle e rosse in posizione centrale, che mediante pedana rotante, si propone all’occhio dello spettatore ora al suo esterno, ora al suo interno. Ai lati del tendone si trovano due carri a rimorchio tipici del circo itinerante.
La folla che anima il villaggio è costituita dal preparato Coro del Teatro Massimo, diretto dal M° Piero Monti, formazione che assicura supporto scenico ed interventi vocali di qualità.
Disinvolta e brillante, Laura Giordano è una perfetta Adina in bilico tra smancerie e malinconie. Il soprano palermitano si distingue per la verve e per la vocalità da fuoriclasse, dall’emissione pulita e sicura e le agilità ferme.
Impeccabile il fraseggio ed i passaggi tra registri, Laura Giordano si conferma interprete magnetica e penetrante con la straordinaria capacità di immergersi con naturalezza nei ruoli richiesti.
Il tenore messicano Arturo Chacón-Cruz veste i panni di Nemorino con garbo, giuste proiezioni ed una buona presenza scenica, suggerisce intenso coinvolgimento nei pezzi d’insieme mentre nell’attesa aria “Una furtiva lagrima”, poche incertezze in apertura lasciano spazio alla piena padronanza della seconda parte.
Dulcamara, gran medico dottore enciclopedico è interpretato da Giovanni Romeo che nell’insieme riporta la figura del ciarlatano fabbricatore di elisir in una veste misurata e non sempre la voce mantiene smalto ed impostazione. La performance di Giuseppe Altomare in Belcore, il domatore in giubba verde, risulta adeguata e guadagna una certa sicurezza in crescendo. Maria Francesca Mazzara è una frizzante ed esplosiva Giannetta, sempre pronta e completamente a suo agio sulla scena. L’accompagnamento al fortepiano è eseguito dall’attento M° Steven Rizzo.
Sul podio il M° Alessandro D’Agostini dirige l’ottima Orchestra del Teatro Massimo, una rilettura composta e scrupolosa, orientata al mantenimento delle corrette intese tra buca e palco e che, non esente da sporadici eccessi nei volumi, riflette lo spirito donizettiano conferendo luminosità e vigore ai picchi ritmici e grazia alle improvvise emotività degli afflati amorosi.
Rosellina Garbo Photographer